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Il mito dell'Ebreo Errante, leggenda cristiana nata nei primi secoli sotto il segno dell'antigiudaismo, arrivò, attraversando i mari e i secoli, anche in Italia. Nel corso del tempo modificò i suoi tratti: con il Rinascimento assunse toni di umana pietà; scomparve poi nelle caligini dei roghi della Controriforma, per riapparire con i poeti del romanticismo che in tutta Europa rilessero il mito facendo dell'eterno viandante un campione dell'umanità dolente ed esiliata. Secondo questa chiave lo interpretò anche il nostro Giovanni Pascoli, in varie composizioni. Così, guidati dal poeta di San Mauro, seguiamo in questo libro le orme inedite dell'Ebreo Errante in Romagna: dalla Forlì medievale di Guido Bonatti fino a Ravenna dove, all'alba del '900, Corrado Ricci preoccupato del minaccioso ritorno dell'antisemitismo scrive: «Stiamo forse per tornare indietro?». Viatico di questo viaggio è l'umile Piada, ovvero «il pane dell'Umanità», che il poeta offre come ristoro all'Ebreo Errante di passaggio alla sua casa di Barga. Con queste parole egli la presenta all'ospite: «Piada, pieda, pida, pie, si chiama dai romagnoli la spianata di grano o di granturco o mista, che è il cibo quotidiano della povera gente, e si intride senza lievito; e si cuoce in una teglia di argilla, che si chiama testo, sopra il focolare che si chiama Varala (da ara, mi sembra)...». In appendice al volume si riporta integralmente il testo del poemetto di Pascoli. Bella e rotonda come la luna, circolare come la pena dell'Errante, è il pane che consola il viandante di ogni epoca nelle asperità del transito terreno.